La biopsia del linfonodo ingrossato, e cioè il prelievo di tessuto dal linfonodo che verrà successivamente analizzato al microscopio, è l'esame fondamentale per arrivare a una diagnosi precisa di linfoma e alla corretta identificazione del sottotipo. Secondo l’ultima classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) esistono oltre 80 sottotipi diversi di linfoma. Diagnosticare quello corretto è di fondamentale importanza in quanto da questo dipendono la scelta della strategia terapeutica e la prognosi.
Il secondo fattore che guida la scelta terapeutica è lo stadio della malattia. La stadiazione è lo studio dell’estensione della malattia ossia la precisa individuazione delle regioni del corpo interessate dal linfoma. Il metodo di stadiazione maggiormente utilizzato nei linfomi si basa sulla revisione di Lugano del sistema di Ann Arbor, che distingue quattro diversi stadi di malattia in base al numero delle sedi coinvolte e alla loro localizzazione:
Inoltre, in caso di presenza di una singola massa nodale particolarmente grande, allo stadio si aggiunge il termine “Bulky”. Gli esami e le procedure che vengono normalmente eseguiti per poter definire correttamente lo stadio sono: anamnesi ed esame obiettivo, esame clinico completo con valutazione delle stazioni linfonodali superficiali, TAC (tomografia assiale computerizzata), PET (tomografia a emissione di positroni), e aspirato midollare o biopsia osteomidollare. In alcuni casi specifici possono inoltre essere richiesti esami aggiuntivi come: valutazione otorinolaringoiatrica, TAC o RMN cerebrale, scintigrafia scheletrica, ecografia testicolare, studio radiologico e/o endoscopico del tratto gastroenterico, esame citologico chimico-fisico del liquido cefalo-rachidiano.
Agli esami eseguiti per la stadiazione della malattia, sono associate delle ulteriori indagini utili a definire gli indici prognostici e a fornire una migliore valutazione complessiva del paziente, come descritto nell’ultimo articolo pubblicato sul nostro sito (https://www.linfovita.it/component/k2/item/471-fattori-e-indici-prognostici-nei-linfomi-cosa-sono-e-a-cosa-servono.html).
Sulla base di tutte le informazioni raccolte, il medico formula una proposta terapeutica. Gli strumenti terapeutici standard per il trattamento dei linfomi sono la chemio-immunoterapia, la radioterapia e, in alcuni casi, il trapianto di midollo osseo. Gli stessi esami eseguiti per la stadiazione vengono generalmente ripetuti al termine della terapia per valutare la risposta al trattamento, che fornisce un’idea di quanto questo sia stato efficace nel contrastare la malattia. Sulla base di specifici criteri di risposta validati a livello internazionale, questa può essere definita come risposta completa, risposta parziale, malattia stabile oppure progressione. Successivamente ha inizio il periodo di follow-up, che consiste in controlli periodici la cui cadenza e le cui modalità variano in base all’istologia, allo stadio inziale e alla risposta al trattamento. Tali controlli hanno lo scopo di monitorare il decorso clinico, rilevando in maniera tempestiva una eventuale ripresa di malattia, una nuova patologia correlata alla precedente o effetti dannosi dovuti al trattamento.
Per saperne di più puoi consultare gli opuscoli informativi disponibili sul nostro.
Fonte: Linee guida AIOM 2018 Linfomi (https://www.aiom.it/wp-content/uploads/2018/11/2018_LG_AIOM_Linfomi.pdf)
La scelta terapeutica nei linfomi è guidata principalmente dal sottotipo specifico di linfoma diagnosticato e dallo stadio della malattia, ossia la sua estensione. All’esame istologico e agli esami per la stadiazione (quali TAC, PET e biopsia osteomidollare), sono inoltre associati degli esami aggiuntivi per la valutazione dei fattori prognostici. I fattori prognostici (dal greco pro-gnosis = conoscere prima) sono degli elementi che possono influenzare la prognosi del paziente, e risultano quindi di supporto nell’indirizzare la scelta terapeutica.
I principali fattori prognostici per il linfoma sono l’età, il Performance Status (cioè le condizioni cliniche alla diagnosi), la presenza di sintomi sistemici, i livelli sierici di LDH, lo stadio della malattia, la presenza di sedi extranodali, il numero di sedi linfonodali coinvolte ed altri fattori specifici per tipo di linfoma.
La combinazione di diversi fattori prognostici è utilizzata per calcolare gli indici prognostici, che hanno lo scopo di identificare la popolazione di pazienti a più alto rischio di insuccesso con i trattamenti standard. Tale approccio è quindi fondamentale per determinare la strategia terapeutica più appropriata sulla base del rischio individuale del paziente (basso, intermedio o alto). Indipendentemente dal tipo di indice prognostico, per ciascun fattore di rischio che lo compone presente nel paziente viene assegnato un punto; in base alla somma dei punti è possibile riconoscere la classe di rischio per ogni soggetto.
Nel tempo sono stati sviluppati diversi indici prognostici specifici per istologia. Ad esempio, per i linfomi aggressivi il più utilizzato è stato l’International Prognostic Index (IPI), che si basa sulla valutazione di 5 parametri sfavorevoli: età maggiore di 60 anni, malattia in stadio avanzato (III o IV), Performance Status ≥ 2, LDH sierico elevato, due o più sedi extranodali coinvolte. Per i linfomi follicolari l’indice maggiormente in uso è stato il Follicular Lymphoma International Prognostic Index (FLIPI), che consiste anch’esso nella combinazione di 5 fattori di rischio: età maggiore di 60 anni, più di 4 sedi linfonodali coinvolte, LDH sierico elevato, livelli di emoglobina < 12 g/dL, malattia in stadio avanzato (III o IV). E così via per le altre tipologie di linfoma.
La ricerca svolge un ruolo chiave anche in questo settore, in quanto si interroga costantemente su quali siano gli indici prognostici più accurati e di maggiore rilevanza clinica. Gli indici prognostici sono quindi in continua evoluzione, in quanto vanno di pari passo con i progressi della ricerca scientifica (migliore comprensione della biologia dei linfomi, avvento di nuove terapie).
CAREGIVER: UNA PAROLA CHE RACCHIUDE UN GRANDE SIGNIFICATO
Una diagnosi di linfoma compromette innanzitutto la vita di chi la riceve, ma indirettamente colpisce l’intero nucleo familiare. Oggi approfondiremo la figura del CAREGIVER, termine inglese ormai entrato in uso comune per indicare “chi si prende cura”. Si distinguono due tipologie di caregiver: formale, che svolge la propria attività sotto forma di lavoro retribuito, e familiare o informale, su cui ci soffermeremo di seguito. L’Istituto Superiore di Sanità definisce caregiver familiari “tutte quelle persone che in maniera gratuita e continuativa assistono e si prendono cura di un loro familiare non autosufficiente perché malato, disabile o anziano”. Essere caregiver familiare non è quindi una scelta, ma una necessità derivante dal legame nei confronti della persona malata. L’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ha condotto un’indagine dalla quale è emerso che in Italia, nel 2018, i caregiver familiari tra i 18 e i 64 anni erano più di 2.8 milioni, la maggior parte di essi rappresentato da donne di età compresa tra i 45 e i 64 anni.
Il carico fisico a cui il caregiver familiare è esposto è spesso gravoso. Le sue attività possono infatti comprendere il provvedere all’igiene personale dell’assistito e alla preparazione e somministrazione dei pasti e delle cure mediche, gestire le visite mediche e le faccende burocratiche, curare l’abitazione dell’assistito, fornire assistenza 24 ore su 24. Ne consegue che il caregiver familiare non gode di periodi di riposo, vacanza o malattia, con effetti rilevanti sulla gestione delle normali attività quotidiane. Inoltre, assistere una persona cara e vederla soffrire comporta un carico emotivo e psicologico di per sé considerevole, aggravato ulteriormente dalle difficoltà che il caregiver familiare si trova ad affrontare e dalle responsabilità di cui si fa carico.
Oltre al significato letterale quindi, la parola caregiver racchiude molto altro: affetto, attenzione e dedizione ma anche fatica, sacrificio, e sofferenza. In considerazione di tutto ciò, la figura del caregiver familiare necessita di maggiori tutele e attenzioni.
Linfovita si sforza di dare il proprio contributo a sostegno del malato ed anche dei caregiver familiari, per alleggerire il loro carico mediante occasioni di svago e condivisione. Inoltre, per dare risalto all’importanza dei caregiver, nei prossimi articoli vi racconteremo le storie di alcuni di loro.
Anche quest’anno Linfovita vuole accompagnare le vostre festività pasquali con le uova di Pasqua solidali.
Potrete acquistarle domenica 26 marzo, a Reggio Calabria in piazza Duomo e ad Ardore in piazza della Concordia, dalle 10 alle 20.
Il vostro acquisto avrà un grande significato. Vuol dire sposare la nostra stessa causa per un obiettivo comune, che è quello di offrire un aiuto concreto ai pazienti e ai loro familiari e donare in questo modo la speranza. Per saperne di più sui progetti e le iniziative che sosterrete con il vostro acquisto, potete consultare il nostro sito www.linfovita.it. Solo per citarne alcuni: la Residenza dei Papaveri, una sistemazione gratuita ed accogliente vicino all’Ospedale per i pazienti e i loro familiari che abitano distanti dalla struttura ospedaliera; il trasporto dei pazienti da casa all'ospedale e viceversa per coloro che non hanno la possibilità di spostarsi in autonomia; una serie di incontri di educazione alimentare coordinati da nutrizionisti ed ematologi; il sostegno alla ricerca.
Vi aspettiamo quindi domenica 26 marzo, a Reggio Calabria in piazza Duomo e ad Ardore in piazza della Concordia, dalle 10 alle 20. In alternativa, potete richiedere le vostre uova di Pasqua al 3450855763 (Reggio Calabria) o al 3935546785 (Locride).
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